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Letizia Comba, il pensiero si fa presenza alchemica nella vita degli altri
di Giulia Siviero [il manifesto – alias, 20 maggio 2012]

Raccontare la vita di una donna significa «cercare ciò che essa dice o non dice attraverso il mio sguardo e le sue parole. E così posso prestare attenzione alla lenta trasformazione di cui insieme facciamo parte, una collana iniziata prima di me e destinata a proseguire oltre me, di cui siamo semplici anelli. Indispensabili come ogni altro per la trasmissione di sangue e di parola». Lo spiegava così Letizia Comba l'incontro con le parole e la vita dell'altra. Tessere (il Saggiatore, pp. 345, € 22,00) mette uno accanto all'altro tali scritti di Letizia Comba pubblicati tra il 1967 e il 2000. Quelli scelti dai curatori, Caterina Spillaci, Gabriella Baiguera, Alberto Sacchetto e Manuela Vaccari, suoi allievi.
Letizia Comba (1932-2000) era nata a Torre Pellice, nella comunità protestante delle valli valdesi, si era laureata in filosofia a Genova nel 1954 con una tesi sull'esistenzialismo e, «dimenticando il golfino bianco sulla sedia del caffè», si era imbarcata per gli Stati Uniti e aveva partecipato a un master in Psicologia Sperimentale. Tornata in Italia, e dopo vari anni di lavoro in ambito psichiatrico con Ernesto De Martino, Franco Basaglia e il marito Giovanni Jervis, aveva scelto di privilegiare i temi legati alla trasmissione del sapere, sia nella scrittura femminile che nello studio della relazione genealogica e magistrale in differenti ambiti culturali. La questione della trasmissione rimaneva per lei il nodo centrale: quando si occupava di donne più o meno conosciute, o le grandi figure del mito come Kali, Inanna, Tari. Come se le pareti del tempo fossero porose, Letizia Comba si era occupata di come avvicinare queste antenate per comprendere nell'incontro «i movimenti nostri e loro», per cogliere i confini, le soglie, le trasformazioni, i desideri e i doveri.
Perché, infine, ne venisse a noi e alla nostra storia qualcosa di buono e fecondo. Tessere non segue né un ordine cronologico né un'organizzazione tematica, ma si muove per costellazioni, forma più fedele all'andamento stesso del pensiero di Letizia: una questione centrale si articola, si apre mostrando i legami, tracciando andamenti, suggerendo evoluzioni e pieghe degli oggetti di ricerca. Sono tre le principali linee-guida del libro e tre sono le persone che le raccontano e le introducono. La prima, Gettare lontano le chiavi, raccoglie gli scritti sull'antipsichiatria ed è Renato Rozzi a presentarla, uno dei primi psicoanalisti a unirsi a Franco Basaglia a Gorizia nel 1967. I testi di questa prima parte portano con sé il respiro tiepido di una scrittura nata da un'esperienza nell'esatto momento in cui veniva vissuta: il lavoro di Basaglia nel riformare gli ospedali psichiatrici, la discussione sul limite tra normalità e follia, la ricerca di una critica, di una misura (e di una distanza) dagli scritti di Ronald Laing; la comparsa, soprattutto, nel mondo psichico di una dimensione imprevista: quella sociale e politica. Sono testi, quelli di Letizia Comba, in cui si ritrova il piacere di partecipare al dibattito in corso, alle lacerazioni, alle scoperte attraverso la presenza in prima persona nella discussione. Ciò che affiora sono il rigore amorevole di Letizia Comba per un modo differente di stare in rapporto cona presentarla, uno dei primi psicoanalisti a unirsi a Franco Basaglia a Gorizia nel 1967. I testi di questa prima parte portano con sé il respiro tiepido di una scrittura nata da un'esperienza nell'esatto momento in cui veniva vissuta: il lavoro di Basaglia nel riformare gli ospedali psichiatrici, la discussione sul limite tra normalità e follia, la ricerca di una critica, di una misura (e di una distanza) dagli scritti di Ronald Laing; la comparsa, soprattutto, nel mondo psichico di una dimensione imprevista: quella sociale e politica. Sono testi, quelli di Letizia Comba, in cui si ritrova il piacere di partecipare al dibattito in corso, alle lacerazioni, alle scoperte attraverso la presenza in prima persona nella discussione. Ciò che affiora sono il rigore amorevole di Letizia Comba per un modo differente di stare in rapporto con donne e uomini: che lavora sulla relazione vivente e mette tra parentesi qualsiasi forma di oggettivazione. Oggettivazione che diviene una trappola ancor più insidiosa quando il centro del rapporto e della parola è occupato dai malati, dai sofferenti, dalle interpretazioni e dai casi clinici.
La lingua stessa si apre ai punti interrogativi, sottraendosi al colpevole dispositivo soggetto-oggetto che la sorregge. Questo è ancor più chiaro nella seconda parte del libro (Da bocca a orecchio), che raccoglie gli scritti del periodo di insegnamento all'università di Urbino, in cui la relazione maestro-allievo occupa le pagine. François Fleury, etno- e psicoterapeuta che con Letizia Comba ha condiviso anni di lavoro e cammini sapienziali, è stato testimone di un suo modo tutto particolare di stare con gli allievi e con lei ha portato avanti sperimentazioni relative a nuove tecniche di trasmissione, fatte di laboratori, interviste e mediazioni di gruppo. Perché il sapere divenisse alchemico, fecondo, perché uscisse dalle gelide vette della teoria e trovasse radici reali, fondate su un consenso interiore. Ecco dunque «da bocca a orecchio», la presenza reciproca che è garanzia di una verità che nasce solo dalla relazione e dal contesto corale e condiviso. Ecco, ancora, l'importanza per Letizia Comba della tradizione orale, della parola viva che è non soltanto «stoffa della seduta psicoanalitica e strumento di cura, ma anche veicolo di conoscenza». Che è, infine, materia narrativa vibrante di vita.
Il cammino verso la terza costellazione, chiamata Relazioni viventi, è introdotto da Chiara Zamboni, pensatrice della Comunità filosofica di Diotima guidata da Luisa Muraro, che ha condiviso con Letizia Comba gli anni dell'insegnamento universitario a Verona: «I testi di questa parte ruotano attorno all'attenzione per la biografia di singole donne, per la loro posizione nel mondo, vista nella prospettiva soggettiva. Si tratta di Paolina Leopardi, della figlia di Cesare Lombroso, di Teresa Noce, e di altre figure femminili ascoltate con grande finezza attraverso le lettere, i diari, che sono un genere di scrittura che dà forma alla soggettività. Si nota in Letizia uno sguardo sulla politicità di tale trasformazione femminile, di come si modifica il rapporto con il sociale». La politica delle donne, dunque, l'obbedienza verso l'altra per avere libertà nei confronti del simbolico dominante, la
trasformazione interiore verso qualcosa che ancora non sappiamoe verso un percorso di autocoscienza, sono il cuore di questi scritti. Che animano discussioni interne non solo al femminismo più importante di quegli anni, ma che sono valide e vive anche nel presente. Che, attraverso le parole di Letizia Comba, sanno ancora portare scompiglio.
Il mosaico nato da questo libro ha la capacità di rimettere in circolo un pensiero il cui segno più luminoso, l'abbiamo raccontato, era certamente la trasmissione in presenza. Vale per molti pensatori e pensatrici, certo, ma per Letizia Comba forse di più. Queste tessere, composte con amore e attenzione puntuale, sono quel che oggi abbiamo. E già motivo di grande riconoscenza.